Con Fiammetta Bellone Federica Carruba Toscano Egle Doria Musiche originali eseguite dal vivo Edmondo Romano Ideazione e Regia Laura Sicignano. Testi Laura Sicignano e Alessandra Vannucci Co-produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse Associazione Madè
Tre donne, le attrici stesse, di età diverse e di diverse zone d’Italia si interrogano su quanto Storia e Memoria abbiano contribuito a costituire le loro identità presenti e attraverso quali meccanismi narrativi ciò sia accaduto, nel delicato equilibrio tra la finzione e la realtà del teatro. Indagano se e come sia possibile raccontare una storia del passato anche attraverso il proprio corpo e la propria biografia. Il gioco della finzione teatrale inganna o è portatore di verità? FIAMMETTA - Il patto implicito tra noi e voi è che qui l’incredulità è sospesa. Ovvero: voi credete a tutto quello che diciamo. Quindi a noi qui è lecito mentire. FEDERICA - Non solo a noi, non solo qui. Nulla più è vero. EGLE – No, no, no. Il corpo è vero: se ti do uno schiaffo, lo senti. Quando ho partorito, mi sono lacerata. La mia storia è il mio corpo con tutte le sue cicatrici. La storia che sentono l’esigenza di narrare, interpretando un testo di due autrici, rappresenta un mito di fondazione dell’Italia. Al tempo stesso si tratta di una storia dimenticata: è la vicenda dei “treni della felicità”, ovvero l’episodio dell’immediato secondo dopoguerra che vede protagoniste le donne nell’organizzazione di convogli che trasferirono in “Alta Italia” circa 70mila bambini in condizioni miserabili, provenienti da località italiane stremate dal conflitto. Perché questa storia è stata dimenticata? Come agisce la memoria storica? E quella individuale? Le famiglie ospitanti sebbene non fossero ricche, accoglievano i bambini in nome di un’Italia da ricostruire come paese solidale. Storie di abbandoni e di accoglienza, di ferite e suture, di dialetti incomprensibili, di abbracci senza smancerie. FEDERICA - Quando parte il treno, buttami dal finestrino il cappotto che ti hanno dato. E’ troppo grande per te e ne han bisogno i tuoi fratelli. Te ne fai dare un altro lassù. Basta frignare. Sali, sali sul treno. Hai la medaglietta col tuo nome scritto, Rosanna de Luca, anni quattro. Dove la portate, Signora? EGLE - È notte. Finalmente seduta, contemplo il paesaggio. Carri armati capovolti, alberi divelti, campi bruciati, fusoliere distrutte, case cieche, ombre che vagano sparute. Il mio corpo è a pezzi come la mia Italia stravolta, in macerie. FIAMMETTA – Era mattina quando è arrivato il treno e nevicava. I bambini tutti a guardare dai finestrini. Non capivano che ci si cammina sulla neve. Molti avevano dei pezzi di cartone ai piedi. I contadini son corsi agli sportelli e li han presi in braccio. Nessun bambino ha toccato terra. La vicenda diventa anche un’occasione per riflettere sulla maternità - oggi e sempre - come condizione biologica, etica e politica. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale le donne italiane acquisiscono consapevolezza dei propri diritti e trasformano la società. Le attrici restituiscono un affresco di personaggi di un’Italia reale ed ideale, vissuta e sognata attraverso l’azione politica e solidale delle donne. Le protagoniste si mettono in scena accanto ai personaggi con un atto di generosa autobiografia, in un processo di svelamento di se’, in relazione alla Storia, come donne del presente: si rivelano donne ferite, ma capaci di riscatto, di coraggiosa autodeterminazione, di fedeltà al proprio desiderio, forse proprio perché derivano dalle donne “che hanno fatto la guerra”. Le attrici con esse dialogano e si interrogano sulle proprie scelte e sulla propria posizione in un mondo diverso da quello di allora, che vorrebbero trasformare ancora con un’azione di responsabilità personale. Anche il teatro quindi concorre ad un cambiamento sociale volto a creare una comunità ideale: un luogo capace di fermarsi se una bambina piange, per mettersi in ascolto delle esigenze del più debole, sovvertendo le priorità, rivoluzionando un sistema di valori e di linguaggio, che nei secoli ha condotto alle macerie. Le donne in scena sono ricostruttrici sulle macerie. Entrano in scena per mettere a posto, secondo un ordine differente. Usano spazio e cose in modo differente. Cospargono di fiori la morte. Sono operose senza tregua: anche quando riflettono sul senso della Storia, stendono lenzuola; anche quando si riuniscono per riprogettare il mondo, maneggiano la lana. Hanno a disposizione molto poco - basta il necessario - per creare un mondo nuovo, ma lo fanno con intelligenza, fantasia e libertà. Hanno i corpi con cui scavare nella memoria, i denti per ridere della morte. Devono inventare un nuovo linguaggio e nuovi valori, per ricostruire dalle macerie e lo fanno a partire dal lavoro in scena. Devono lottare contro l’oblio per ricostruire. FIAMMETTA - Ci dimentichiamo tutto, anche le cose indimenticabili. EGLE - Il giorno in cui io dimenticassi il nome di mia figlia, non sono più niente. FEDERICA - Io voglio ridere anche sulla morte. Ridere su di noi, qui, che raccontiamo questa storia. Le attrici interpretano con minime trasformazioni del corpo personaggi diversi, con la delicatezza che richiede il maneggiare storie di vite vere, comprese le loro; trascorrono le diverse età della vita in pochi minuti, muoiono e rinascono, si commuovono e dichiarano l’assoluta verità della loro finzione; si fanno attraversare da ottanta anni di Storia, sopravvivendo a violenze insopportabili ed esercitando eroismi dimenticati, accompagnate da un unico uomo in scena, un musicista polistrumentista, un uomo capace di dialogare con loro attraverso la musica, il ritmo e il rumore per creare un mondo sonoro che evoca tempi e spazi reali e immaginari. La semplicità è una delle parole d’ordine di questo spettacolo molto complesso nell’intreccio delle storie e nel ribaltamento della cronologia (il tempo non esiste). Insieme, nel lavoro teatrale, tutti realizzano una collaborazione mai competitiva, ma seria e appassionata e attivano le proprie migliori capacità per far funzionare la macchina teatrale, così come le donne e gli uomini di allora furono in grado grazie alle stesse doti, di organizzare la complessa macchina dei “treni della felicità”, una macchina di pace. Lo spettacolo prosegue la mia ricerca sulla storia delle donne, degli eroi perdenti e dimenticati, sui viaggi nello spazio e nel tempo. Niente si perde. Tutto si trasforma. Laura Sicignano